venerdì 13 novembre 2015

ALL'OMBRA DELLA LUNA - Storia di una strega mezzelfa (capitolo 4)

"Quattro secoli addietro: la scomparsa del Wernyr"

Jhoanna sbattendo le mani sul tavolo scattò dalla sedia.
<<Voi uno dei custodi, maestro? Allora le mie intuizioni erano corrette. Ricordate quando venni da voi e vi trovai accasciato al suolo?>>
Toranus annuì con un grugnito.
<<Vedete, nel momento in cui apriste la cassaforte per controllare che non avessero sottratto ciò che vi era custodito, il mio sguardo non poté fare a meno di posarsi sullo scrigno ivi riposto. Quando poi sfogliando le pagine di un antico testo mi son trovata dinanzi l’immagine del Wernyr, ho riconosciuto su quest’ultimo lo stesso simbolo che era inciso sull’oggetto in vostro possesso>>. 
Toranus si allontanò dalla finestra e, continuando ad accarezzarsi la folta barba, tornò a sedersi alla sua scrivania. 
<<La tua perspicacia non si smentisce mai!>> disse orgoglioso rivolto alla sua discepola. <<Quello in mio possesso è proprio il Fernyr, scrigno in cui vi è custodito il Jelar. Da generazioni ormai viene tramandato di padre in figlio e, prima della mia scomparsa, dovrò designare un degno erede, dato che non ho prole a cui poterlo affidare, e sei tu ragazza mia>>.
Jhoanna rimase basita.
<<Io? Ma non conosco altro sulla faccenda se non quello che son riuscita a trovare sui libri e la leggenda che mi ha raccontato sir L…>> si interruppe prima di proferire, non volendo, il nome di Lumen; non poteva rischiare di smascherarlo; poi si corresse <<…il mio amico qui presente>>.
Toranus emise una fragorosa risata. <<Puoi star tranquilla, mia cara, il vostro segreto con me è al sicuro. Credete davvero che non mi sia accorto dell’amuleto che costui porta al collo? Ti rammento che sono stato io il creatore del simulatus facies. Qual è il vostro nome dunque, messer “elfo”?>>
All’udire il suono di quelle parole Lumen sussultò. <<Lumen Pharenthir. Onorato di fare la vostra conoscenza, sir Toranus.>> rispose balbettando.
Jhoanna spazientita rincalzò. <<Ma l’altra runa? Sapete che fine abbia fatto? È vero che sono stati gli umani a portarla via da Sijhal?>>
<<Purtroppo è un quesito a cui non so dare risposta alcuna. Non ho fatto altro che chiedermelo ogni giorno da quando mi è stato affidato il Fernyr, svolgendo anche qualche ricerca in merito>>.

Dopodiché Toranus abbassando lo sguardo sospirò pesantemente; non aveva il coraggio di guardare la sua prediletta negli occhi per ciò che le stava per proferire. <<Jhoanna cara, sai che per me sei sempre stata come una figlia, e so che hai sempre nutrito un forte rispetto ed affetto nei miei confronti. Spero tu possa perdonarmi. Vi è una parte di storia di cui nessun altro, al di fuori del nostro ordine, ne è a conoscenza ed in qualità di custode ne sono stato messo al corrente. Purtroppo non potevo parlartene, anche se avrei voluto farlo con tutto il cuore, non prima di esser certo di potermi fidare completamente di te e designarti come mia erede>>.
<<Come sarebbe a dire? Posso capire il vostro dovere di custode, ma sapevate benissimo quali erano i miei pensieri in merito a questa follia e ciò a cui stavo andando incontro. Perché nonostante tutto non me ne avete parlato? Sapete quanto sangue ho versato e quante vite ho spezzato a causa vostra?>>

Innervositasi ulteriormente, principiò a percorrere in lungo e in largo la stanza in evidente stato di agitazione.

<<Devi sapere, ragazza mia>> riprese Toranus <<che quando il testimone passò a me, fui istruito su come svolgere questa ostica funzione, e la prima regola che appresi fu di mantenere a tutti i costi il segreto su ciò che riguardava gli scrigni e la storia ad essi collegata. Avevo bisogno di comprendere fin dove ti saresti spinta per scoprire la verità, per tale ragione ho preferito non intervenire. Solo così sarei potuto esser certo di aver fatto la scelta giusta designando te come mia erede >>.

Non riuscendo più a trattenere la rabbia, Jhoanna si avvicinò frettolosamente verso Toranus. Intuendo ciò che stava per compiere, Lumen la anticipò parandosi fra lei e l’alchimista, ricevendo un sonoro schiaffo sul volto.
Accortasi della gravità del gesto compiuto, tornò in se. Cadde in ginocchio, si portò le mani al volto e scoppiò in lacrime. Carezzandosi la guancia appena colpita, Lumen si chinò verso di lei e le porse la mano per aiutarla a rialzarsi.
<<Comprendo molto bene ciò che provate Jhoanna. Ma vi prego, cercate di calmarvi. Il vostro mentore tiene molto a voi. Di certo avrà avuto una ragione più che valida per tenervi celato il tutto. Non lasciate che le lacrime righino il vostro volto ed ascoltate ciò che ha da dirvi>>, estrasse un fazzoletto dalla tasca e glielo porse. Lei lo prese e si asciugò il viso.

Quella scena di sostegno e amicizia fra un elfo e un’umana, infuse in Toranus la speranza che, finalmente dopo secoli, qualcosa sarebbe potuto cambiare.

<<Suppongo vi sia dell’altro che dovremmo sapere. Ritenete che possa udire anch’io le vostre parole in merito, sir Toranus? O preferite che attenda altrove?>>
<<No, restate pure, giovane elfo. Ormai qual che è detto è detto. Tanto vale che rimaniate qui anche voi>>.

Lumen si alzò e invitò Jhoanna a sedersi.

<<Pochi decenni dopo la disfatta dell’oscura regina, il signorotto di un reame umano col suo seguito, un giorno, trovandosi di passaggio nella foresta poco al di fuori del regno elfico di Sijhal, giunse in soccorso della principessa che era stata attaccata da un manipolo di demoni seguaci di Elwayth. Tratta in salvo la fanciulla, la ricondusse da suo padre ed in segno di gratitudine il sovrano volle ricompensarlo con dell’oro. Ma l’ignoto signorotto lo rifiutò, proponendo che al posto di questo gli venisse consegnato il Wernyr. Il sovrano, indispettitosi dall’ambigua richiesta, ordinò che lui ed il suo seguito venissero arrestati. Si sarebbe privato di ogni ricchezza, ma mai e poi mai avrebbe ceduto lo scrigno contenente la pericolosa runa in mani altrui>>.

<<Richiesta alquanto curiosa>> , disse Lumen interrompendo il racconto.

<<Lasciate che prosegua e tutto vi sarà più chiaro. Durante la notte venne udito un forte boato, dopo di che il palazzo fu invaso dalle fiamme. Le guardie si diedero da fare di gran lena per portare in salvo chiunque fosse nell’edificio. Quando giunsero alle prigioni trovarono privi di sensi i soldati che erano ivi di guardia. Preoccupati si affrettarono a raggiungere le celle e, anche se le porte erano ancora chiuse, notarono che le sbarre erano state disciolte e dei prigionieri non vi era più traccia. Il sovrano si precipitò preoccupato alla cripta, luogo in cui era custodito lo scrigno, per portarlo al sicuro con sé, ma non lo trovò né lì né altrove in tutto il regno. Si rammentò dei loschi individui che fece arrestare il giorno prima e del loro particolare interesse verso l’oggetto, e capì che furono proprio questi ultimi a portarlo via. Il sovrano di Sijhal mandò delle truppe di soldati nei villaggi limitrofi in cerca dell’uomo e dello scrigno, ma senza ottenere risultato alcuno. Si rammentò dello stemma cucito sugli abiti del signorotto e lo collegò al casato Larkos. Decise quindi di presentarsi di persona nel reame per conferire col re. Gli riferì dell’uomo recante il simbolo del suo casato che lo aveva derubato dell’importante scrigno, chiedendogli la restituzione di quest’ultimo. Ma il re negò di esserne in possesso. Nel mentre vide passare al lato della stanza lo stesso giovine che aveva salvato sua figlia e inveì contro di lui accusandolo del furto. Il signore di Larkos offesosi dalle accuse rivolte al figlio, fece scortare l’elfo fuori dal regno. Non contento del trattamento ricevuto e convintosi che gli umani avessero sottratto il Wernyr perché schierati con Elwayth, dichiarò loro guerra>>.

<<Pazzesco!>> esclamò Lumen <<E da allora nessun altro si è più messo alla ricerca dello scrigno? Il suo ritrovamento avrebbe forse potuto metter fine alla follia>> .

<<Oh, è stato cercato eccome! Noi custodi del Fernyr abbiamo il solo compito di tenerlo celato e proteggerlo anche a costo della vita, ma il pensiero dell’altro scrigno disperso chissà dove mi spinse a cercarlo con ogni mezzo a mia disposizione. Sappiate che le due rune hanno una particolarità. Essendo complementari, una volta che l’una si trova a meno di un miglio di distanza dall’altra, comincia a reagire vibrando e producendo una luce propria. Per questo motivo portavo il Fernyr sempre con me, ma non ha mai avuto alcuna reazione di sorta purtroppo>>, sospirò, << l’ho cercato in ogni terra in cui potessi metter piede, ma per via della guerra non potei provare nei domini elfici ed ovviamente nemmeno in quelle appartenenti al regno oscuro di Ghorthien>>.

<<Ho battuto le nostre terre per quasi un secolo senza riuscire a trovarne nemmeno una minima traccia. Non credo sia in mani elfiche e comunque non avrebbe senso alcuno dato che gli elfi hanno dichiarato guerra agli umani convinti che fosse in loro possesso>>. Lumen si fece pensieroso.  <<Mmm… e se il ladro non fosse il principe di Larkos ma solo qualcuno che ne avesse preso le sembianze? D’altronde io stesso ho dovuto mutare il mio aspetto per giungere qui>>.
<<Potreste aver ragione, sir Lumen>> disse Jhoanna che nel mentre si era calmata <<se solo ci fosse un modo per confermare i vostri sospetti!>>

Il giovane elfo, con aria cupa, fece un gran respiro come per darsi forza.<<Beh, qualcuno in grado di aiutarci ci sarebbe, ma non è certo noto per la sua benevolenza. Speravo di non doverci avere mai a che fare in tutta la mia vita, ma a quanto pare non sarà così…>>



 "...Toranus abbassando lo sguardo sospirò pesantemente; non aveva il coraggio di guardare la sua prediletta negli occhi per ciò che le stava per proferire..."


sabato 26 settembre 2015

ALL'OMBRA DELLA LUNA - Storia di una strega mezzelfa (capitolo 3)

"Ritorno all’accademia di alchimia"

Jhoanna principiò nella spiegazione del rituale.
<<Il simulatus facies, un potente quanto rischioso rituale alchemico che consta di due fasi: la prima prevede la preparazione di una pozione, avente la funzione di mutare il proprio aspetto in quello desiderato, la seconda consta di un amuleto, col duplice scopo di rafforzare l’effetto della bevanda e di custodire le originali fattezze di chi si sottopone al rito. Una volta completato l’infuso, ne va prelevata una piccola parte, alla quale vanno aggiunte tre gocce del sangue di chi vuol mutar le proprie sembianze; suddetto amuleto va lasciato immerso, con una particolare pietra che fungerà da catalizzatore, per l’intero arco della notte. La bruna bevanda va poi conservata, in quanto berla sarà l’unico modo per poter tornare normali>> spiegava Jhoanna a Lumen <<Affinchè il simulatus facies faccia effetto, in primis va indossato l’amuleto e solo successivamente va bevuta la pozione. Nel caso in cui questa dovesse venir assunta senza aver addosso il catalizzatore, o se quest’ultimo venisse tolto prima di aver interrotto la mutazione, essa diverrà permanente. Sareste davvero disposto a sottoporvi ad un tale rischio solo per seguirmi, messer Lumen? Infondo ci siamo appena conosciuti>>.
<<Per la nostra causa comune e per voi, milady, sono pronto ad affrontare questo ed altri rischi>>, le rispose l’elfo con lo sguardo rivolto al cielo stellato.

Certo, si conoscevano appena, ma una voce dentro di lui gli suggeriva di seguirla, di non lasciare andar via quella donna dallo sguardo profondo e pieno di speranza, com’egli determinata a metter fine all’infausta lotta fra elfi ed umani.

La notte calò su Rocciadura. La stanchezza della giornata si fece sentire sempre di più, così i due giovani rientrarono nei rispettivi alloggi per ritemprarsi.
Jhoanna si svegliò alle prime luci dell’alba. Reperire tutto il necessario per il simulatus facies avrebbe richiesto non poco tempo; decise quindi di non indugiare oltre e di mettersi subito all’opera. Con sua sorpresa, trovò Lumen ad attenderla fuori dalla locanda. Immaginando che la donna si sarebbe destata di buon’ora, era ivi giunto per porgerle il proprio aiuto nell’impresa.
Uscirono dalla cittadella e si incamminarono verso i boschi che ne costeggiavano le formazioni rocciose. Impiegarono l’intera mattinata per riuscire a trovare tutto ciò che sarebbe occorso per il rituale. Per poter agire indisturbati, convennero ambedue nel recarsi all’alloggio di Jhoanna e principiare con i preparativi.

<<Ora mi occorrono tre gocce del vostro sangue, Lumen>>.
Punse con uno spillo il polpastrello di un dito della mano destra di lui, dopodiché fece ricadere le gocce del rubro fluido in un piccolo contenitore in cui vi era parte della pozione. Vi mise all’interno l’amuleto e lo lasciò l’intera notte. La mattina seguente Lumen tornò alla locanda e raggiunse Jhoanna nella sua stanza. Era tutto pronto.
<<Siete ancora in tempo per ripensarci>> gli si rivolse la donna con tono preoccupato.
<<Non ci penso nemmeno! Potete stare tranquilla, di certo non mi accadrà nulla di infausto. Non vi crucciate.>> disse lui sorridendole, tentando malamente di celare la propria ansia.
Lumen indossò l’amuleto a mo’ di collana, dopodiché bevve d’un fiato la pozione. La temperatura del suo corpo si alzò improvvisamente mentre il sudore gli imperlava il volto. Il cuore gli batteva forte come a voler balzar fuori dal petto e le membra divennero talmente doloranti da obbligarlo a distendersi. La sua agonia durò solo pochi istanti, ma gli parve fosse trascorsa un’eternità. 

<<Va tutto bene? Come vi sentite?>> gli chiese lei porgendogli un bicchier d’acqua.
<<È stato tutto così strano…non mi aspettavo fosse così doloroso>> rispose tenendosi il capo fra le mani. <<Un momento! Ma…le mie orecchie! Datemi uno specchio, vi prego!>>
Jhoanna lo aiutò ad alzarsi e lo accompagnò alla specchiera. Lumen vi osservò la propria immagine riflessa: le sue orecchie non erano più allungate ed a punta ma piccole e arrotondate, e l’esile muscolatura, tipica degli elfi, era divenuta corpulenta . Ciò che mostrava loro lo specchio non era l’immagine riflessa di un elfo, bensì di un umano. Il simulatus facies era dunque riuscito.

Raccolsero i propri effetti personali e si apprestarono a lasciare la locanda. Montarono sui fidi destrieri e si incamminarono alla volta dell’accademia di alchimia. Dopo due giorni di viaggio, finalmente giunsero alla meta. Trascorsero tre anni da quando abbandonò l’accademia, ma fu come se non l’avesse mai lasciata. Tutto era come lo ricordava. 

Il palazzo principale era circondato da vari edifici minori, tra cui una piccola biblioteca, i laboratori, i magazzini e gli appartamenti privati di Toranus. Per giungere all’ingresso bisognava attraversare il bel cortile in lastricato, ove le statue di due ninfee reggevano dei lucernari, pronte ad illuminare il cortile all’imbrunire della sera. Toranus aveva amato la natura sin da giovane, fece così adornare il plesso accademico da piante fiorite. Le due torrette che fiancheggiavano l’entrata con le loro cupole auree, donavano un tocco di maestosità all’intera struttura.

Avanzarono sul lastricato e giunsero dinanzi al massiccio portone di legno finemente intarsiato. Jhoanna esitò un attimo prima di afferrare l’anello del battente e suonare affinché qualcuno potesse giungere ad accoglierli. Il cuore le batteva forte al solo pensiero di rimetter piede in quell’edificio che aveva sempre considerato come una seconda casa. 

Il portone venne aperto. Dinanzi a loro vi era una donnina un po’ in là con gli anni: Ermelinda, sorella di Toranus.
<<Oh Jhoanna mia cara, è un vero piacere rivederti. Fatti abbracciare!>>, le disse la donna gettandole le braccia al collo.
La giovane ne ricambiò affettuosamente l’abbraccio. 
<<Di certo mio fratello sarà molto lieto di rivederti. Ragazza mia, siamo stati così in ansia per te quando decidesti di andare in battaglia; non sai quanto mi rincuori vederti qui adesso! Chi è il giovine che ti accompagna?>> disse rivolta verso Lumen.
<<È un mio compagno d’armi, donna Ermelinda>>, le rispose Jhoanna mentendole sulla vera identità dell’elfo. 

Ella li condusse allo studio di Toranus. Quando il vecchio mentore vide la sua adorata discepola riuscì a stento a trattenere le lacrime; portandosi l'unico braccio al viso per asciugarle corse verso di lei per stringerla in un caldo abbraccio. Dopo che ebbero sorseggiato una tazza fumante di buon thè, Toranus intuì che vi fosse ben altro dietro la mera visita di cortesia, ragion per cui chiese gentilmente alla sorella di abbandonare la stanza onde poter conferire privatamente con i due visitatori.

<<Maestro, come ben sapete son sempre stata avversa a questa guerriglia ed ho quindi compiuto delle ricerche per comprenderne l’origine>>. Jhoanna prese a raccontargli tutto ciò che aveva scoperto a Rocciadura, della malvagia Elwayth, intenzionata a proseguire con i suoi piani di conquista e degli scrigni contenenti le due rune in cui venne sigillata. Quando la giovane nominò il Wernyr, il volto di Toranus si crucciò a tal punto che le sue folte sopracciglia ne coprirono gli occhi.

<< Ho sempre sospettato che proseguendo con le ricerche saresti giunta a ciò, ragazza mia>>.
Si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra dello studio. Il suo sguardo cominciò a scorrere verso terre lontane e quasi inconsciamente principiò a carezzarsi la barba con fare preoccupato.
Sospirando continuò: <<Ciò che narra la leggenda è reale…i due scrigni esistono veramente e di uno di essi io ne sono il custode>>.


“…Per giungere all’ingresso bisognava attraversare il bel cortile in lastricato, ove le statue di due ninfee reggevano dei lucernari, pronte ad illuminare il cortile all’imbrunire della sera…”

domenica 23 agosto 2015

ALL'OMBRA DELLA LUNA - Storia di una strega mezzelfa (capitolo 2)

"Un incontro inaspettato: Lumen l’elfo"

Le persone che frequentavano la biblioteca di Rocciadura erano innumerevoli. Jhoanna non soleva prestare molta attenzione a chi, come lei, si trovava lì immerso nella lettura. Il suo unico pensiero era il prosieguo delle ricerche. 

Aveva appena terminato di ricopiare sul suo taccuino l’oggetto che attirò la sua attenzione fra le pagine del testo che stava consultando. In quel frangente una figura le passò alle spalle, notando con la coda dell’occhio il suo disegno. Si fermò di scatto ed esclamò:  <<Il Wernyr!>>
Jhoanna si voltò repentinamente verso quella voce. Dinanzi a lei vi era un giovane elfo, che con sguardo attonito osservava il taccuino. Indossava vesti scure. La carnagione chiara ne metteva ancor più in risalto i lunghi e lisci capelli corvini.
<<Voi conoscete questo oggetto, messere?>>, chiese Jhoanna all’elfo con aria sorpresa.
Lui si spostò al suo fianco. <<Sì...è un antico scrigno custodito fin da tempi remoti nel regno elfico di Sijhal…scomparso quattro secoli or sono. Al suo interno vi era custodito il Kelar…>>.

La giovane donna ascoltava l’elfo con estrema attenzione, annotando le nuove informazioni che provenivano dalla sua voce.

<<… un’antica runa di sigillo>>, continuò lui. <<Secondo la leggenda, in un tempo ormai remoto, Elwayth, oscura signora del tenebroso regno di Ghorthien, mosse le sue orde demoniache alla conquista di tutte le altre terre, ivi comprese le nostre. Pur unendo le forze, elfi ed umani non furono in grado di contrastare l’immensità della sua potenza.  Per poter porre fine alle sofferenze, non vi fu altra soluzione se non quella di provare a sigillarne l’anima ed il corpo. Ma il prezzo richiesto dal compimento del rituale fu elevato. Per la riuscita dell’impresa i cerimonieri dovettero sacrificare la loro stessa vita>>.
<< E riuscirono nell’intento?>>, gli chiese Jhoanna sempre più interessata a quella antica storia.
L’elfo annuì col capo. 
<<Secondo quanto narrato dalla leggenda, l’anima di Elwayth venne sigillata nel Kelar, affidata poi agli elfi, mentre il suo corpo nel Jelar, consegnato invece agli umani. Se le due parti dovessero venir un giorno riunite, pronunciando poi l’esatta formula, il sigillo verrebbe spezzato, donando la libertà all’oscura regina>>.

<<Avete detto che lo scrigno, ormai, non è più custodito a Sijhal; su questo antico testo vi è scritto che furono gli umani a portarlo via dal regno elfico e che tutt’oggi si trova nelle loro mani ma, io non credo sia accaduto ciò>>.
Il giovane elfo la interruppe, ponendo la sua mano sulla di lei spalla << e nemmeno io>>.

<< Come fate, messere, ad esserne a conoscenza? Potrei sapere chi siete, se non sono troppo indiscreta?>>
Egli le sorrise. <<Oh, perdonatemi milady, che maleducato son stato! Lasciate che mi presenti; il mio nome è Lumen Pharenthir. Ed il vostro? >>. 
<< Sono Jhoanna Loriant >>, rispose lei mentre le sue labbra accennavan ad un sorriso, <<lieta di fare la vostra conoscenza >>.

Pur non riuscendo a spiegarsene il motivo, la giovane alchimista sentiva in cuor suo che poteva porre in lui la sua fiducia. Cominciò a narrargli la sua storia, l’avversione che nutriva per questa guerriglia, la ragione per la quale decise di arruolarsi, le ricerche condotte sul campo di battaglia ed il suo peregrinare di biblioteca in biblioteca senza trarne risultato alcuno, almeno fino a quando non giunse a Rocciadura. 

Considerata la disponibilità della donna, Lumen decise di fare altrettanto raccontandole la sua vita. Era nato, circa due secoli or sono, in una famiglia di elfi oscuri dedita alla stregoneria. Essendone naturalmente predisposto, col passar degli anni, anch’egli ne apprese la nobile e potente arte. Molti dei suoi compagni si unirono nella lotta contro gli umani, ma lui, non approvando quella guerra del cui principio ormai non vi era alcuno che ne fosse a conoscenza, decise di non seguirli. Intenzionato a scoprire quale fu la scintilla che scatenò quella faida, intraprese un percorso di ricerca. Viaggiò di paese in paese, di villaggio in villaggio, sino ad approdare all’amena cittadella nanica.

<<Sapete, messere, sono lieta di aver incontrato qualcuno che condivida il mio stesso pensiero. Avrei un’idea! e se unissimo i nostri sforzi proseguendo le ricerche insieme?>>
<<Perché no! La trovo una splendida idea, milady>>.

Con una vastità di antichi testi a far loro da cornice, presero a scambiarsi le informazioni fino a quel momento raccolte. Giunse l’ora della chiusura e, costretti da un nano borbottone a lasciar la biblioteca, decisero di continuare i loro discorsi alla locanda, dinanzi ad un buon pasto caldo.

Il profumo che fuoriusciva dalla cucina riempiva l’aria della taverna; Jhoanna continuava a rimestare lentamente la zuppa contenuta nel suo piatto con aria pensierosa.
<<Come mai non mangiate, lady Jhoanna? La pietanza non è forse di vostro gradimento?>>, disse Lumen osservandone il ripetuto gesto <<No, direi piuttosto che siete turbata da qualcosa>>.
<<Pensavo al Wernyr. Continua a sovvenirmi in mente il simbolo che vi è sopra inciso, l’ho già visto in passato su di un altro scrigno, alla scuola di alchimia nello studio privato del preside Toranus. Mi ero ivi recata per chiedergli di scrivere per me una lettera di raccomandazioni da consegnare al comandante incaricato dei reclutamenti. Bussai più volte ma non ebbi risposta alcuna. Sbirciai dalla porta socchiusa ed intravidi sul pavimento sedie ribaltate e carte sparse. Temendo fosse accaduto qualcosa di infausto mi precipitai all’interno. Dietro la scrivania, accasciato al suolo, trovai il mio maestro privo di sensi e mi accinsi a prestargli soccorso. 
Ripresosi scattò, preoccupato, verso il dipinto raffigurante l’accademia, togliendolo dalla parete. Con mia gran sorpresa, vidi innestata nel muro una cassaforte. La aprì celandone la combinazione.
Mossa dalla curiosità, non potei fare a meno di osservarne il contenuto. C’era uno scrigno di delicata fattura, con sopra inciso il medesimo simbolo del Wernyr. Vedendolo ancora al suo posto, il mio maestro trasse un sospiro di sollievo. Rammento di averlo sentito mormorare “per fortuna non sono riusciti a trovarlo…solo gli dei possono sapere cosa sarebbe potuto succedere qualora fosse caduto in mani sbagliate”. Dopo di che richiuse la cassaforte e rimise il dipinto al suo posto>>.

<<Ed in merito all’accaduto, non vi diede spiegazione alcuna? Ovvero, siete riuscita a prendere visione del contenuto dello scrigno?>> le domandò Lumen, che fin a quel momento l’aveva ascoltata con somma attenzione.
<<Purtroppo no, richiuse la cassaforte senza aprirlo. Quando gli chiesi la ragione di quel trambusto mi riferì che, quella mattina, ricevette nel suo studio due uomini i quali gli chiesero di conferire per degli affari che volevano proporgli. Ma a quanto pare si trattò di un misero inganno. Alla richiesta di uno dei due di consegnar loro un determinato oggetto, Toranus si rifiutò negando di averlo. I loschi individui non credendo alle sue parole lo tramortirono, in modo da poter agire del tutto indisturbati>>.
<<Potrei supporre milady, che dalla reazione del vostro maestro quanto cercato da quei due bagordi fosse proprio lo scrigno celato dietro il quadro>>.
<<È quanto pensai anch’io, pur se il mio vecchio mentore non me ne diede conferma. Avevo oramai obliato quell’episodio, ma l’immagine del Wernyr che ho veduto in biblioteca l’ha rievocato dai meandri dei miei ricordi. Messer Lumen, sento che dev’esserci una qualche relazione fra i due scrigni>>.
<<Allora indagheremo in merito, milady>> le rispose lui riempiendole nuovamente il bicchiere di buon sidro.

Dopo aver consumato il caldo pasto, Jhoanna decise di far quattro passi per la cittadella. La gran mole di notizie acquisite quel giorno avevano creato non poca confusione nella sua mente ed una boccata d’aria fresca l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee. Lumen si offrì di farle compagnia. 
Giunsero nella piazza principale popolata ,a quell’ora della sera, da ben poche persone. Ivi si sedettero su di una panchina in freddo marmo.
<<Se posso esprimere la mia idea in merito, milady>> disse l’elfo con fare determinato, << credo che in primis sia opportuno accertarci che lo scrigno in possesso del vostro mentore sia effettivamente collegato in qualche modo al Wernyr, o se il simbolo in comune sia solo una mera coincidenza. Quindi, non resta che organizzarci per principiare il viaggio verso l’accademia>>.
<<No messer Lumen, meglio che mi ci rechi da sola. Temo che per voi sarebbe un rischio troppo elevato seguirmi in terre umane. In quanto elfo non esiterebbero ad attaccarvi. D’altronde, cosa potrà mai succedermi?>> disse lei sorridendogli.
<<Ora che abbiamo deciso di unire le nostre forze, non sussiste ragione alcuna per cui dovrei lasciarvi andar da sola. Piuttosto, considerando le vostre doti alchemiche, non vi è modo alcuno di celare il mio aspetto agli occhi dei vostri simili?>>.
<<Effettivamente, un modo ci sarebbe>> .


“…l’oggetto che attirò la sua attenzione fra le pagine del testo che stava consultando…”

mercoledì 22 luglio 2015

ALL'OMBRA DELLA LUNA - Storia di una strega mezzelfa (capitolo 1)

"L’inizio di un’avventura: Jhoanna l’alchimista"

La notte era ormai quasi passata, e Jhoanna cominciava a prepararsi ad affrontare un’altra giornata in battaglia. Ormai nessuno sapeva più il perché si combatteva. Da cosa era nata questa faida? Jhoanna se lo chiedeva sin da quando era una bambina.
<<Madre perché noi umani facciamo la guerra contro gli elfi? Son forse cattivi?>>, chiese un giorno da bambina a sua madre. Ma non seppe darle alcuna risposta e, come lei, chiunque altro a cui andasse rivolgendo la medesima domanda.

Jhoanna era molto sveglia ed intelligente, con un’innata curiosità per tutto ciò che la circondava. All’età di 11 anni i suoi genitori, avendo notato la sua predisposizione per codesta arte, la iscrissero alla scuola di alchimia del celebre Toranus Manlio, situata in un villaggio non molto distante dalle sue terre natali. Eccelse nello studio, spiccando fra i suoi compagni. A 15 anni, oltre che a conoscere tutte le piante ed i minerali che venivano utilizzati come ingredienti alchemici e ad esser riuscita a memorizzare tutte le ricette archiviate nella scuola, era stata anche in grado di crearne di nuove.

Gli anni passavano. Jhoanna non era più una bambina, ma continuava ancora a chiedersi il perché di quella lotta fra umani ed elfi. Era di indole dolce ed odiava quella che soleva definire una stupida guerriglia. “Combattere per un motivo che si è perso nei secoli non ha senso! Come vorrei poter mettere fine a tutto questo…”, pensava spesso tra sé e sé. Ma, in cuor suo, sapeva bene che da sola non sarebbe mai riuscita nell’intento. All’età di 27 anni, convinta di trovare delle buone informazioni sul campo di battaglia, decise di unirsi ai legionari, nonostante la violenza non facesse parte della sua natura.
E fu così che una tiepida mattina di primavera adagiò sul dorso del suo destriero la vecchia sella di cuoio, ne caricò ai lati due sacche, di cui una contenente la sua attrezzatura alchemica, salutò i suoi genitori con un forte abbraccio e, mentre una calda lacrima le rigava il viso, si mise in viaggio verso Nursia, la capitale degli umani. Il suo villaggio natio era alquanto distante dalla cittadella e per raggiungerla le sarebbero occorsi un bel po’ di giornate di viaggio.

Trascorsero tre giorni. Circondata dai boschi, passò le notti riparandosi come meglio riusciva, appollaiata fra i rami di un albero o nascosta in qualche anfratto. Fatta eccezione per il villaggio sede della scuola di alchimia, Jhoanna non aveva mai avuto modo di visitare i luoghi al di fuori della terra natia. Le sue uniche conoscenze su di essi erano state apprese dai libri. Trascorsero altri cinque giorni e, finalmente, raggiunse Nursia. Era proprio come se l’era immaginata: alte e forti mura si ergevano a protezione della capitale. Al centro della cittadella vi era la piazza principale, superata la quale era ubicato il palazzo di giustizia. Dopo aver sistemato il suo destriero, prese con sé la sacca contenente l’attrezzatura alchemica ed entrò nell’edificio, dove una guardia la condusse fino alla stanza dove si tenevano i colloqui per valutare le aspiranti leve.

Porse i suoi saluti al comandante addetto alla fase conoscitiva, prelevò dalla sacca il distintivo di alchimista, consegnatole il giorno del diploma, ed una missiva sigillata con della cera lacca blu sulla quale vi era impresso il marchio del preside della scuola, Toranus Manlio in persona, il più grande alchimista conosciuto.
Dopo aver posto il distintivo sul tavolo che si frapponeva fra lei ed il suo interlocutore, porse a costui la lettera e disse: << Sono Jhoanna Loriant, alchimista. Ho studiato presso la rinomata scuola di Toranus Manlio. Questa è la mia lettera di presentazione>>.
Presa in consegna la missiva, il comandante ne ruppe il sigillo e cominciò a leggerla a voce alta. Scritta personalmente da Toranus, nella suddetta vi erano tessute le lodi sull’abilità della giovane allieva, riferendosi ad essa coma sua discepola.

Le grandi doti dell’alchimista erano note ai più. Servì la sua legione in battaglia per molti lustri. Non vi era alcun nemico in grado di sopravvivere ai suoi veleni, o di sfuggire alle sue trappole alchemiche, come le più note sabbie mobili silenti. Un giorno però, rimase vittima di un’imboscata, nella quale perse l’uso del braccio sinistro. Non essendo più in grado di servire il suo popolo sul campo di battaglia, si ritirò a vita privata e fondò la sua scuola di alchimia.

Non capitava sovente che un alchimista chiedesse di venir arruolato, giacché era un’arte che in pochi decidevano di intraprendere. Al comandante parve dunque un’occasione ghiotta l’aver fra le proprie linee addirittura la discepola di Toranus Manlio. Approvò dunque seduta stante la richiesta della giovane donna assegnandola ad una compagnia.

Trascorsero circa tre anni da quando Jhoanna cominciò a servire il suo regno sul campo di battaglia. Le sue grandi doti alchemiche ed intellettive la portarono in breve a conquistare il grado di capitano. Avendo, or dunque, una compagnia, seppur piccola, ai suoi ordini, immaginò che le sarebbe risultato più agevole riuscire a carpire anche solo un qualche minimo indizio sulla scintilla che fece divampare quella faida. Ebbe modo di conferire in merito con molti ufficiali, ma persino nelle alte sfere non vi era alcuno che ne fosse a conoscenza.
Jhoanna soleva trascorrere i pochi giorni liberi a sua disposizione di biblioteca in biblioteca, china su testi storici, in cerca di una risposta, ma nonostante i sui sforzi non riuscì a trovare nemmeno un libro in cui tale argomento venisse trattato. Era come se quella parte della storia fosse andata perduta in un qualche oscuro meandro o, peggio, fosse stata volutamente occultata. “Non mi resta che andare a Rocciadura”, pensò.

Rocciadura, cittadella di origine nanica confinante sia con terre umane che elfiche, era circondata da una massiccia formazione rocciosa, che la avvolgeva come in un abbraccio. I nani non vollero mai prendere parte al conflitto; erano estranei ai fatti ed avevano intenzione di rimaner tali. Le loro cittadelle ed i loro villaggi erano aperte a tutti, in quanto non solevano fare distinzione alcuna fra razze. Socializzavano con chiunque ed avevano gran fiuto per gli affari. Erano noti per le loro grandi abilità nel lavorare qualsiasi tipo di metallo, dando luogo a leghe tanto resistenti quanto elastiche, dal quale ricavavano utensili, armi ed armature. Gli scudi da loro forgiati erano in grado di assorbire colpi di inaudita potenza. Solo un fortissimo attacco inferto con un’arma della medesima fattura sarebbe stato in grado di danneggiarlo. La qualità delle loro armi era tale da venir sempre più richieste dai vari regni, diventando così col tempo la loro principale fonte di guadagno. Oltreché esser bravi artigiani, i nani erano anche grandi studiosi e, nella loro cittadella, venne eretta un’accademia con una maestosa biblioteca annessa.

Rocciadura distava poche ore dal luogo ove era ubicato l’accampamento di Jhoanna, così in uno dei suoi giorni liberi decise di recarvisi per far visita alla biblioteca. Era immensa. Rimase esterrefatta dalla moltitudine di testi su cui il suo sguardo si stava posando. Dopo averne chiesto indicazioni sull’ubicazione alla bibliotecaria, si diresse alla sezione dove vi erano riposti i libri storici. Come suppose, riuscì a trovare molti scritti concernenti l’argomento che le interessava. La quantità dei testi da consultare era tale che un solo giorno non sarebbe stato sufficiente; le occorreva molto più tempo. Uscita dall’edificio, montò sul suo destriero e partì in direzione dell’accampamento, con l’intenzione di recarsi al cospetto del suo comandante per fargli richiesta di congedo, affinché potesse recarsi nuovamente a Rocciadura, ove avrebbe potuto continuare le sue ricerche per tutto il tempo necessario.

Non senza qualche difficoltà, riuscì ad ottenere il permesso di lasciare le truppe. Raccolse i suoi effetti personali e ripartì per la cittadella nanica. Una volta giuntavi, si diresse alla locanda, nella quale prese in affitto una stanza. Trascorreva le giornate in biblioteca e, mano a mano che le sue ricerche procedevano, Jhoanna soleva prender nota su di un taccuino le notizie che riteneva più rilevanti.

Di libro in libro quella parte oscura di storia principiava a prender forma nella sua mente. Assorta sull’ennesimo testo, ne voltava le pagine con cura onde evitare di rovinare l’antico tomo, quando d’un tratto ciò che vide raffigurato catturò la sua attenzione lasciandola perplessa. “Un momento! Ma…questo simbolo…io l’ho già visto!”.

“…Era immensa. Rimase esterrefatta dalla moltitudine di testi su cui il suo sguardo si stava posando…”

domenica 19 luglio 2015

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